I. Il primo di quei cinque (buoni) motivi è che il Matrimonio è la prima causa di Divorzio, accertata ormai universalmente.
E’ indubbio che chi non incorre nell’errore di convolare a nozze è quasi esente dal rischio di dilaniarsi in una separazione coniugale e di frantumarsi definitivamente nel divorzio conseguente.
L’avverbio ‘quasi’ costituisce una misura prudenziale dovuta all’imperscrutabilità, insita nei panegirici bisbetici ospitati nei tribunali del Diritto di famiglia. Perchè tale fattispecie attenga al diritto e non al rovescio, nelle maglie del giudiziario, non è dato di sapere.
II. Il secondo motivo è che le questioni ‘di cuore’ solitamente finiscono con aggravamenti cardiaci;
III. Il terzo motivo è che entrambi i coniugi vorrebbero godere dei PRO della vita da Single, ma si fronteggeranno con i CONTRO della vita “a due”.
Inizia tutto con un bel gioco che segue una cena costosa, a lume di candela. Ecco uno dei casi in cui “il gioco non vale la candela”!
IV. Il quarto motivo, a parere di chi scrive, sta nella parità di genere.
In questo ‘genere di parità’, per il principio che “La legge è uguale per tutti”, tutti i Beni – e con loro, pure i Mali – della coppia si dovranno ripartire equamente, quando l’unione si dissolverà nel divorzio.
Per il principio di equipollenza, al coniuge ritenuto debole saranno affidati i figli, la propria villa al mare e pure la casa coniugale dell’altro che, quindi, dovrà corrispondere l’assegno di mantenimento per tutti quelli rimasti in casa sua. Mentre egli albergherà notti insonni in automobile, al riparo di un ponte stradale.
E il malcapitato con che cosa si potrà alimentare? Con quello che resta dello stipendio, defalcato dall’importo del mutuo. E certo! Ad uno va la casa e all’altro va il mutuo. Per questo si chiama equipollenza, anche se la vocazione del ‘pollo’ non è descritta nei tomi della facoltà di Giurisprudenza e rientra nella discrezione del giudice.
V. Il quinto motivo risale alla remota possibilità di risposarsi, dopo il divorzio.
Chi si risposa …
…non ha capito che è un sacrilegio quello di sconquassare l’equilibrio planetario di due corpi celesti che viaggiano all’unisono nel cosmo.
È il disastro siderale di un convitto di asteroidi lunatici, ubriachi in una congiuntura artificiale.
Due anelli perfetti che si ammaccheranno irreversibilmente al primo scontro di masse e di pensieri aeriformi.
Quell’unico scompenso nuziale e iniziale, attorno a due povere forme di vita universale, genererà la deviazione delle loro traiettorie che, da allora, scavalcheranno le orbite di corpi più o meno celesti e incespicheranno in buchi, più o meno neri.
Nel loro rotolare scomposto troveranno consulenti astrofili, più o meno legali, che impartiranno loro lezioni di rettitudine, più o meno magistrali.
Perderanno tutta la poesia dell’unico suono silente, recitata da quei proiettili di pietra pura.
Sarà allora che il Diapason si trasformerà in una Ipsilon.
Scaturiranno due schegge disorientate che si disporranno tangenzialmente.
Il frastuono di comete impertinenti li contaminerà irreparabilmente, sporcando le vibrazioni della consonanza originaria.
Non sarà l’incontro, ma il loro scontro a generare satelliti, orfani di melodie astrali e di orbite perdute, offuscati da nuvole gonfie di lacrime per la < molto minore > tutela ricevuta, rispetto a quella che meriterebbero.
Telescopi morbosi stiano alla larga dalla maestosa sacralità delle anime semplici, incessantemente parallele, mai più intrecciate, destinate a toccarsi nell’Infinito di una geometria non euclidea.
Oltre l’Infinito c’è solo il ricordo di un amore…finito.