Ed eccola la news dell’estate: conoscere la busta paga del collega. Urca che novità! Bene appena la direttiva sarà incorniciata un una legge dello Stato chiunque, al netto di evidenti limitazioni, potrà richiedere il cedolino mensile del collega oppure di altra azienda. Aspettate un attimo: io posso richiedere la busta paga di un altro lavoratore anche se questo non lavora nella mia stessa azienda? Non credo sia possibile ma sotto questo sole agostano pare che tutto sia concesso.
Però, eh c’è un però, la direttiva UE 970/230 avrebbe lo scopo di rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione.
Immediata una considerazione… cosa succede se c’è un divario salariale? Il danno può essere risarcito? Intanto aspettiamo l’adozione della direttiva comunitaria e poi vedremo se il senso della norma comunitaria sia stata interamente recepita nutro qualche dubbio non me ne vogliate.
Però a ben guardare secondo una recente stima, in Europa, le donne guadagnano in media il 14% in meno degli uomini per lo stesso lavoro e a parità di mansioni. Un gap che, in termini pensionistici, si traduce in una differenza di quasi il 30%. Il gap salariale tra uomo e donna è un problema avvertito in tutta la comunità europea.
É proprio per porre fine a questa ingiustizia salariale che a maggio, l’UE è intervenuta con la direttiva 2023/970 che ha introdotto il divieto del segreto salariale. La direttiva dovrà essere recepita anche in Italia entro il 2026. In questo modo le lavoratrici potranno conoscere gli stipendi dei colleghi e pretendere la stessa paga a per le identiche mansioni.
Cosa dice la direttiva UE 2023/970?La rivoluzionaria direttiva abolisce il segreto salariale. La direttiva, che l’Italia dovrà recepire entro il 7 giugno del 2026, si applica sia ai datori di lavoro del settore pubblico che a quelli del privato. Infatti, secondo uno studio dell’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), le misure di trasparenza retributiva sono essenziali per la riduzione del divario salariale di genere, nonché per assicurare la trasparenza dei contratti di lavoro. Quindi, ciò vuol dire che tutti i lavoratori dovranno poter conoscere gli stipendi dei colleghi che fanno lo stesso lavoro, e nessuna clausola contrattuale potrà vietarlo. La richiesta di informazioni potrà partire da un lavoratore, dal suo avvocato oppure dai sindacati, e l’azienda avrà al massimo due mesi di tempo per rispondere.
Difatti, secondo la direttiva il lavoratore avrà diritto a: “richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore”.
Inoltre, con riguardo alle aziende con almeno 50 dipendenti, le stesse dovranno rivedere i propri contratti di lavoro e vietare le clausole già esistenti che impediscono ai lavoratori di divulgare informazioni sui loro stipendi. In tal modo, sarà reso evidente l’eventuale divario retributivo di genere esistente all’interno dell’azienda stessa. Infine chi si occupa di selezione del personale, dovrà fare in modo che sia le offerte di lavoro sia i titoli professionali siano neutri sotto il profilo del genere e che le procedure di assunzione siano condotte in modo non discriminatorio. Nel caso in cui, dalle informazioni sugli stipendi risulti un divario salariale pari o superiore il 2,5%, i datori di lavoro, in unione ai sindacati dei lavoratori, dovranno procedere ad una rielaborazione delle retribuzioni per assicurare la parità degli stipendi. Qualora ciò non avvenga e il lavoratore (o la lavoratrice) che ritenga che non sia stato rispettato il principio della parità retributiva, potrà portare la vicenda in tribunale. In tal caso sarà il datore di lavoro a dover provare che non c’è stata discriminazione.
Infine, secondo quanto dispone la direttiva UE, i lavoratori e le lavoratrici che hanno subito una discriminazione retributiva basata sul genere possono ottenere un risarcimento danni che comprenda: “il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora”.
Che la norma sia ben inquadrata in un contesto di legalità e trasparenza non vi è dubbio, la dobbiamo finire con questa discriminazione e disparità sul lavoro tra uomini e donne, quello che mi preoccupa e l’italianità della norma che vedremo entro il 2026, senza buttare sale sulle ferite vedrete che ci sarà qualche parolina che sarà la stura di argomenti lunatici al fine di evitare la trasparenza.
Che c’è vo’!
Franco Marella