L’Uva Italia destinata a scomparire o divenire cibo di nicchia? Ma in che Europa stiamo?

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Non a caso un titolo pure sotto forma di rebus e a due chiavi di lettura, avendo preso lo spunto da un recente incontro tenutosi nella sede del BariSera per parlare, tra l’altro, della gravissima crisi dell’uva pugliese, nonché orgoglio nazionale tanto da chiamarsi appunto Italia. Quanto ci è bastato per trovare una conferma a ciò che avevamo letto in ordine sparso e fornirci, così, l’occasione giusta per poter spiegare – dal nostro punto di vista e dal piccolo al grande attraverso questo minimo esempio concreto – come l’intero nostro Paese è in realtà sotto attacco anche da parte dei suoi stessi “partner” continentali. E sotto tutti i profili, da quello delle risorse energetiche alle produzioni agricole e industriali, ma pagando sicuramente noi il prezzo maggiore in tutti i settori vitali, ivi compresa la sicurezza nazionale.  Complice la più massiccia propaganda di massa, filo atlantista e a “pensiero unico”, che mente umana potesse mai concepire, e in «un’Europa   divisa e balbettante…di cui gli Stati Uniti hanno il monopolio», tutto ciò che oggi sta accadendo non sarebbe altro, perciò, se non il risultato di scelte che, più che orientate a privilegiare i singoli Stati membri e gli interessi europei, sembrano piuttosto dettate pari pari dalle grandi major’s internazionali. Cioè quelle famose “Corporation’s” di Joel Bakan che sotto mille nomi (da BigPharma a BigArma, alla Transizione Ecologica…) gestiscono l’economia globale e che verosimilmente, stanno cercando di imporre un nuovo ordine geopolitico mondiale  (forse la ragione vera, cioè quella economica, della guerra in Ucraina) per conquistare un’assoluta leadership di mercato in ogni campo possibile e immaginabile attraverso l’ imposizione di quei propri prodotti che gli garantissero il massimo profitto grazie  ai loro brevetti esclusivi su ogni genere di bene. E senza tralasciare nulla, nemmeno lasciando in pace la natura, quando anche funziona bene da sola: basti pensare all’invasione degli OGM nelle colture o, accompagnati già da una massiccia campagna di pubblicità, carni e pesce realizzati in laboratorio e pronti ad arrivare pure da noi. E più che plausibilmente con l’acquiescenza passiva di un’Europa che sembra indifferente al pericolo rappresentato da queste multinazionali per la quasi maggioranza degli Stati che la compongono.Né si può dedurre diversamente, a nostro avviso e volendoci limitare al solo tema di partenza, osservando la vera e propria aggressione al Made in Italy, e proprio nel settore in cui non abbiamo rivali al Mondo: cioè l’agroalimentare e in cui vantiamo, da soli, la massima concentrazione di biodiversità edibile del pianeta come ha opportunamente chiarito e spiegato Oscar Farinetti, cioè il patron del colosso mondiale Eataly o, per spiegarci ancor meglio, il motivo per cui dopo ben 106 anni è l’Italia a essere stata scelta, nel 2015 e con tema “nutrire il Pianeta” , per un’Esposizione Universale.Stiamo infatti parlando di un agroalimentare che vale “538 miliardi di euro e rappresenta il 25% del nostro PIL con un peso significativo anche quando si parla di export” nonché elemento essenziale e intrinseco anche del terziario e voce determinante, quindi, del successo di quel turismo, anch’esso con cifre record (tra il 13 e il 15 % del PIL). Insomma quanto basta a confermare senza ombra di dubbio il titolo che vantiamo di Belpaese, mettendo insieme il nostro inarrivabile patrimonio artistico, il clima e quell’ Italian Food fatto di prodotti genuini e certificati come nessun altro, ma già concretamente attaccati da tempo da tutta una serie di iniziative e norme in sede anche europea.Oltre ai falsi cibi tricolore in vendita in tutto il mondo, infatti, una cosa comunque è già sicura: parte di quel cibo artefatto che minaccia la qualità e la genuinità assolute dei nostri prodotti è già, nascostamente o meno, sulle nostre tavole, magari sotto forma di miscele autorizzate e a marchio italiano. E fa, se vogliamo, pure concorrenza sleale alle nostre migliori produzioni nazionali, cioè quelle che ci garantiscono export e turismo con numeri così importanti. E che questo sia vero, basti leggere per bene le etichette sulle confezioni in vendita e guardare i prezzi, infatti, per rendercene conto e poi pure domandarci come mai – un esempio banale per tutti – un litro di latte 100 % italiano costa mediamente tra i 10 e 15 centesimi in più di quello targato UE. Aggiungiamoci ora le nuove normative già approvate in sede comunitaria questo 25 u.s. e le proposte in agenda, ed ecco che si arriva alle etichettature colorate, a mo’ di quelle di elettrodomestici e lavatrici, sui cibi sugli scaffali. Senza contare che in nome di uno sbandierato “salvataggio del Mondo dalla fame” nonché  di un ideologico salutismo infarcito di animalismo si è già arrivati a reclamizzare “ottimi “cibi sintetici o a base di insetti, paradossalmente criminalizzando con messaggi allarmanti, però, persino olio e vino (nostri primati assoluti per qualità e varietà di scelta) ma attentamente astenendosi dall’attaccare, invece, i vari “Cola”, snack confezionati e affini che la maggior parte dei nutrizionisti ritengono causa di obesità e danni fisici per l’organismo umano, soprattutto dei minori che ne fanno largo uso e consumo.Ma quanti sanno che nelle composizioni di molte farine, dalla pasta al pane, ci sono già elementi che non sono certo derivanti dalla semplice macinazione del grano (e solo quando va bene soltanto quello nostro e genuino) o che – e pure spesso dall’estero perché costano meno!? – «i pomodori e verdure che mangiamo non hanno mai visto sole, aria e terra»? O ancora che l’uva apirene (senza semi) è in realtà un prodotto OGM?  Eppure è quella che più si vende grazie al prezzo più basso e a certi «cartelli” che hanno in mano la grande distribuzione» preoccupati solo di fare più utili. Senza tenere nel minimo conto, cioè, i danni ai tanti produttori locali, ora a rischio fallimento, perché non in grado di riuscire a reggere la concorrenza per i costi maggiori che affrontano, né hanno altri sbocchi per regole che alla fine impediscono perfino la trasformazione dei loro preziosi e rinomati grappoli in alcool o altro.Uva e altre colture a rischio scomparsa, e quindi allarme agricoltura (al pari peraltro degli allevamenti animali) sanità sotto accusa e commercio al collasso… nessun mistero dunque se soltanto a Bari, e in questo fine settimana, ci sono stati ben due incontri diversi di neo formazioni in nuce e un grande ritorno alla politica attiva, viste le scadenze elettorali che ci riguarderanno a breve (Bari l’anno prossimo e le Regionali nel 2025). Più che evidente che c’è più di qualcosa che adesso non torna sul territorio, se l’accusa ricorrente è che questa Puglia «a gestione Emiliana» proprio non va e mancano ancora linee guide o confronti con l’altra parte, impegnata com’è non solo nell’azione di Governo ma anche a fronteggiare attacchi su attacchi da parte di un’opposizione che, insieme alla grande stampa, non ne fa passare una liscia a questo Esecutivo neppure per sbaglio.Senza colori e molto diffusa, invece, una grande preoccupazione per questa «guerra per procura» in Ucraina che, mettendo da parte ogni ipocrisia, è la causa principale di tutta la paurosa crisi, anche di valori, che sta destabilizzando e impoverendo l’Italia e l’Europa, e oltretutto rischia pure di diventare nucleare. Ma anche l’amaro in bocca della speranza forse svanita anche per i tanti che, in alternativa alla “sinistra in elmetto”, hanno votato questo Governo sognando che con Papa Francesco si ripetesse quanto fecero Andreotti e Wojtyla nel ‘90. Quando cioè scelsero Bari, e ambasciata nel Mondo di tutti popoli ortodossi nel nome di S. Nicola, come “Ponte di Pace tra Oriente ed Occidente” per cercare di fermare una guerra. E ricordiamo che la Politica e le due Chiese cristiane unite non certo ci riuscirono, allora, ma difronte alla Storia e alla coscienza collettiva resta il fatto che quantomeno ci hanno provato.Enrico Tedeschi (con la collaborazione di Giorgia Lecce Coccia)   

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