Il medico di base è il primo ed essenziale riferimento quando si tratta di numerose attività legate alla sanità, ad esempio per la richiesta di analisi, per la redazione ricette e certificati, per consigliare visite specialistiche o per prescrivere farmaci ed è il vero faro soprattutto per gli anziani.
Eppure quando si chiama il medico per una visita domiciliare non sempre la cosa è fattibile. L’argomento della visita domiciliare è alquanto dibattuto. In materia, ossia sulla disciplina del medico di base, non esistono apposite leggi e la fonte da tenere in considerazione è rappresentata dagli accordi collettivi nazionali sottoscritti dalle rappresentanze sindacali dei medici.
Diciamo intanto che a norma dell’Accordo Collettivo Nazionale dei medici di base, lo studio del medico di famiglia deve essere aperto 5 giorni a settimana, preferibilmente dal lunedì al venerdì, e garantire l’apertura per almeno due fasce giornaliere (pomeridiane o mattutine) a settimana e comunque con apertura il lunedì.
Tuttavia si rammenta che l’orario di lavoro in ambulatorio non corrisponde alla durata dell’attività, poiché tutti i pazienti che accedono all’ambulatorio entro l’orario stabilito devono essere visitati anche oltre l’orario minimo.
Ma andiamo a vedere cosa succede con le visite domiciliari. Se, di norma, il medico svolge la propria attività in ambulatorio, non può rifiutarsi di compiere visite a domicilio, ma si tratta di casi di eccezionalità giustificati dall’intrasferibilità dell’ammalato e da elementi di evidente immobilità.
Le visite domiciliari vanno svolte in giornata se sono state richieste entro le 10:00 di mattina, oppure, se richieste oltre quest’orario, entro le 12:00 del giorno successivo. Poiché, normalmente, il medico non è tenuto a svolgere attività ambulatoriale il sabato, egli sarà comunque tenuto a eseguire le visite a domicilio richieste il giorno precedente o entro le 10:00 del giorno stesso. Al medico è lasciata ampia discrezionalità quanto alle modalità di organizzazione delle visite a domicilio.
Le visite domiciliari sono gratuite nei casi di urgenza e intrasferibilità del paziente. Tuttavia, laddove l’ammalato chieda di essere visitato a casa nonostante le sue condizioni non siano talmente gravi da impedirgli di muoversi, il medico è legittimato a chiedere un compenso per la prestazione.
Un assunto ribadito dalla Corte di Cassazione secondo cui la visita a domicilio non indispensabile presenta i caratteri di una visita privata che il medico può effettuare come libero professionista chiedendo un pagamento. Sono sempre a pagamento, invece, le visite ambulatoriali laddove ci si rivolga a un diverso medico di base.
Ma che succede se il medico di base, il proprio medico, rifiuta la visita a domicilio? Vediamo. Se il paziente versa in condizioni di salute che richiedono un intervento urgente, il medico dovrà svolgere la visita a domicilio entro il più breve tempo possibile. Tuttavia, a valutare “l’urgenza”, così come anche l’intrasferibilità del paziente, è il medico stesso sulla base della sintomatologia che gli viene descritta e di tale valutazione ne risponde personalmente.
Infatti, il problema è che la legge resta sul vago senza non definire cosa debba intendersi per “non trasferibilità”, rendendo necessaria un’analisi particolare, caso per caso, correlata anche a fattori come l’età o le condizioni di salute generale del paziente.
Tuttavia, una valutazione scorretta sulle condizioni di gravità e improrogabilità della visita domiciliare, che determini il rifiuto della visita a domicilio, può costare al medico non solo sanzioni disciplinari, ma anche una denuncia penale, precisamente quella del “rifiuto di atti ufficio”.
Basta il semplice rifiuto a far scattare il reato, indipendentemente dalle eventuali conseguenze patite dal paziente e anche se questi è ricoverato presso una struttura di cura privata. Infatti, come rammentato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 21631/17, “il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo, onde la violazione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice al corretto svolgimento della funzione pubblica ricorre ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall’ordinamento, prescindendosi dal concreto esito della omissione e finanche dalla circostanza che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva” (cfr. Cass. n. 21631/2017). Sempre la Suprema Corte, ha confermato la condanna nei confronti di una madre per calunnia nei confronti del pediatra di base, denunciato per omissione di soccorso per non aver visitato in sede domiciliare la figlia minore affetta da stato febbrile, pur nella sicura consapevolezza dell’innocenza del medico (Cass. n. 48844/2022).
Tratto i parte da studiocataldi.it
Franco Marella